La lettura di “La sindrome di Starbuck e altre storie” del filosofo Alberto Peretti apre lo spazio ad un appronfondimento sul tema della qualità. Venticinque secoli di de-esistenza lavorativa hanno fatto sì che il tempo del lavoro si rapprendesse su due sole unità di misura, che sono diventate anche i suoi equivalenti di senso e di valore: produttività e costo/profitto monetario. Tutto ciò è stato assorbito nel quanto vale. Credo sia opportuno un radicale ribaltamento di prospettiva che valuti il lavoro non soltanto per il risultato estrinseco da esso prodotto, ma che ne riconosca l’intrinseco valore, le sue prospettive autoteliche.


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